Pescoluse: dalle grotte preistoriche alle architetture rurali: caseddhi o pajare
Tra le richieste ineludibili degli amici che in estate frequentano la nostra casa c’è sempre quella di una giornata di sole e di mare alle “Maldive del Salento”, cioè : Pescoluse, la marina di Salve. Questo angolo incantato dal mare trasparente e dalle dune di sabbia ancorate e stabilizzate deliziosamente da un’ampia colonia di gigli di mare ( pancratium maritimum, cui ho dedicato uno dei primi articoli di questo blog) è amato e abitato da almeno 60000 anni. Molto più di quanto possano supporre i frettolosi turisti del mordi e fuggi agostano. A noi ne ha rivelato le meraviglie, in una bella domenica di ottobre, una passeggiata organizzata dalla associazione Arches guidata, con entusiasmo e competenza da Marco Cavalera.
Sono presenti in questo territorio grotte quali la grotta Montani già frequentata nel Paleolitico superiore. Vi sono stati rinvenuti con un saggio di scavo dell’Università di Lecce manufatti di misure estremamente ridotte appartenenti al Musteriano: raschiatoi, punte di frecce ed anche frammenti ossei che attestano l’ampio ventaglio di specie presenti nel Salento.Gli uomini di Neanderthal e i nostri avi hanno cacciato su queste spiagge e su queste serre l’elefante antico, il rinoceronte ed equidi, bovidi, cervidi, cinghiali. C’erano le iene e nell’erba si nascondevano i conigli. Il mare giungeva ben più in alto e l’onda si frangeva nella grotta Febbraro ( oggi a 72 m. sul livello del mare) dove ciottoli arrotondati e fori di litofagi insieme a conchiglie fossili e sabbie testimoniano un passato marino. La grotta Marzo fa fantasticare per la presenza di alcune piccole pitture rupestri in ocra rossa di incerta datazione e interpretazione ma in una terra che ci ha donato capolavori dell’arte preistorica quali le Veneri di Parabita, le incisioni della grotta Romanelli, i dipinti della grotta dei cervi di Porto Badisco. Il tutto in un’area agevolmente percorribile a piedi in poche giornate di cammino. Sulla serra tra masserie ottocentesche e case di nuova costruzione la testimonianza di tombe ed insediamenti risalenti al Bronzo medio ( XVI-XV sec a.C.).
Poco più in là un villaggio messapico nasconde ancora i suoi tesori e le sue mura tra la vegetazione. Chiusa ai Fani è stato oggetto di una campagna di scavo dell’Università di Sydney.Fu abitato, in più riprese, da 1400 al 400 a.C. A pochi metri, lungo il canale del Fano una cripta basiliana con affreschi ormai evanescenti.Alle spalle degli inconsapevoli bagnanti, proprio dove in estate si affollano le auto,un dolmen ipogeo megalico e antiche sepolture, incustodite, testimoniano,a chi sa leggerle, di un passato ben più solenne.
Su tutti questi tesori nascosti dominano, visibilissime, le antiche costruzioni rurali. Queste costruzioni tronco coniche in pietra a secco sono un fenomeno estesissimo intorno al Mediterraneo e qui prendono il nome di “caseddhi” “caseddhe” o “pajare”. In Liguria si chiamano “casélle”. Sono rifugi legati alla vita contadina, in pietra a secco, in genere di un solo ambiente, costruite con il principio delle mensole aggettanti che permettono di andare chiudendo verso l’alto formando una pseudo cupola. Quello che caratterizza e distingue le costruzioni salentine è la bella scala esterna per raggiungere la cupola: funzionale alla costruzione (cresce con essa), alle riparazioni e all’essiccazione dei raccolti. Queste costruzioni dalle profondissime mura (solo ed esclusivamente di pietra) sono il frutto delle conoscenze stratificate di innumerevoli generazioni. Un cordone di pietre che circonda il Mediterraneo e lega le architetture di Pantelleria, quelle sarde e liguri, le strutture funerarie a tholos della Grecia classica sù sù fino ai ripari mesopotamici de III millenio a.C. con una struttura quasi immutata. Tecnica costruttiva immutata nel tempo presentano anche i muri a secco. Ovunque si scava il più possibile per ancorarsi alla roccia sottostante e si installa una specie di fondamenta: la scarpa. Poi si inizia ad alzare, con pietre grosse, scelte con cura, una ad una, perché si incastrino al meglio tra loro e con il terreno. Piano piano si va sù, in due file parallele,con l’unica guida di due cordicelle annodate a paletti che si innalzano con l’innalzarsi del muro. Lo spazio interno della cassa così formata si riempe con il pietrame ricavato dalla pulitura del terreno. Con la stessa tecnica si realizzano anche forni per la cottura del pane, l’essicazione dei fichi, dei pomodori e degli altri prodotti del fondo.
Io credo che il nostro Sud Salento così ricco di storia, di cultura, di specie botaniche e animali dovrebbe con più caparbietà e attenzione puntare sui suoi tesori per un turismo destagionalizzato e consapevole e un lavoro qualificato e continuativo.
Il sole, il mare, il vento qui sono un incanto anche in questo mese di novembre.
La manifestazione più complessa e matura di questo antichissimo sistema costruttivo è collocata poco oltre il confine settentrionale del Salento, nella Valle D’Itria, con la costruzione dei trulli. Questo modello abitativo raggiunge, in questa valle, un’ampiezza sconosciuta altrove con più di 20mila insediamenti che diventano la nota dominante del paesaggio. L’abitazione tradizionale contadina in pietra a secco dona un aspetto unico e fiabesco a tutta la valle. Alberobello è l’abitato più celebre dove più di mille trulli danno vita ad un’unica e irripetibile piccola città, riconosciuta, nel 1996, Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO.