Ottobre, il cotogno
Attraversando il Salento, in questi giorni di pioggia e di sole ancora caldo, non può sfuggire che, accanto ad ogni casa antica, dalla più modesta alla più signorile, ci sia un albero carico di frutti grandi, eretti, turgidi, ben posizionati sui rami robusti.
È il cotogno, un bel piccolo albero, oggi trascurato ma fino agli anni ’50 del secolo scorso grande ricchezza di questa terra che produceva ben centomila quintali annui di cotogne, detenendo il primato assoluto in Italia.
È un albero bello, armonioso, che regala a primavera una fioritura lieve , profumata, effimera. I fiori rosati, semplici della Cydonia oblonga palpitano come farfalle al minimo alito di vento e subito cadono.
I frutti iniziano a formarsi e poi ci accompagnano per tutta l’estate maturando adesso, in ottobre. Quando, finito il grande caldo, le prime piogge di settembre bagnano la terra, le cotogne si gonfiano e pare di vederle crescere di giorno in giorno. Un tempo venivano poste negli armadi e nei cassetti per profumare la biancheria.
È un frutto antico la cotogna, sacro a Venere.
Anche a completa maturazione mantiene un sapore asprigno e astringente che necessita di cottura prima di essere gustato. Non è un frutto per gente frettolosa. Richiede i suoi tempi ma il profumo che invade la cucina quando lo si cuoce è già di per sé un piacere.
Io ne ricavo gelatine, marmellate e la cotognata naturalmente: si conservano egregiamente per tutto l’anno.
Raccolti i frutti li sfrego delicatamente con le mani per eliminare la peluria che li ricopre.
Li lavo e li taglio a piccoli pezzi. Lascio la buccia, i torsoli e i semi. (È questo il segreto del profumo e della consistenza e della leggera granulosità della mia cotognata). Li cuocio con un limone tagliato a pezzi (buccia e succo) e in poca acqua. A questo punto li passo al passaverdure ed ottengo una purea.
Se voglio fare la gelatina raccolgo la purea e l’eventuale liquido di cottura in uno strofinaccio che metto , sormontato da un peso, in uno scolapasta dentro ad un recipiente che raccoglierà il liquido che colerà durante la notte. Al mattino strizzo lo strofinaccio per raccogliere tutto il succo possibile. Peso il liquido, aggiungo 8hg di zucchero per litro e cuocio per il tempo necessario.Una deliziosa variante è la gelatina cotogne e melagrane (2/3 succo di cotogne , 1/3 succo di melagrane): una delizia per gli occhi e il palato! (Vedi articolo Melograno)
Se voglio fare la marmellata peso direttamente la purea e calcolo anche in questo caso 8hg di zucchero per Kg di purea. Cuocio, verso nei barattoli e conservo in dispensa.
Per fare la cotognata invece rimetto la purea sul fuoco , con i suoi 8hg di zucchero per kg e comincio a cuocere con calma, senza fretta , a fuoco dolce sempre girando, girando, girando fino a quando la cotognata , ormai ben colorita si stacca dalle pareti della pentola e forma un’unica massa compatta. Allora ungo appena appena delle belle formine di rame stagnato o una teglia dove verso in uno strato sottile la cotognata. Lascio asciugare per più giorni (se il cielo mi è favorevole , al sole) e poi sformo le cotognatine e taglio a piccoli pezzi la cotognata della teglia . Li rotolo nello zucchero semolato e li dispongo in pirottini di carta per poi riporli in belle scatole.
Sì, forse non è un frutto adatto a tutti, ma condivido l’opinione di un’amica che l’anno scorso mi disse che fare la cotognata la fa sentire ricca, padrona del suo tempo e della sua casa. È un’opinione credo di molte salentine perché qui la cotognata la si fa ancora e Lecce è famosa anche per questo.
Notarella botanica aggiunta oggi 6 novembre 2012: quest’anno il cotogno del mio giardino oltre a maturare regolarmente i suoi frutti in questi giorni ha pensato bene anche di fiorire, come fosse primavera. Boh!
Se capitate da queste parti potrete trovarne di eccellente nelle migliori pasticcerie di tutto il Salento.