Settembre, il cotone
Piccolo indovinello estivo proposto ad ognuno dei miei ospiti davanti ad una pianticella nata da un seme procuratomi da Marisa, la mia personale fata botanica nonché memoria storica delle colture e degli usi di ogni erba o fiore che cresca in Salento.
“Tutti la portiamo addosso e ci conforta di giorno e di notte”.
A chi avesse indovinato un sacchetto di tarallini. Gustosi i tarallini, me li sto mangiando tutti: nessuno ha indovinato. La piantina misteriosa è il cotone: una coltura dimenticata. Eppure sono ancora tante le donne che, qui in Salento, ne ricordano la coltivazione fino al dopoguerra e sanno ancora come lo si sgranava, filava, tesseva. Nei loro corredi ci sono ancora trapunte, tende, tovaglie, asciugamani e strofinacci tessuti con il loro cotone da loro filato.
Il cotone fu portato dagli arabi in Europa ed introdotto in Sicilia nel IX secolo. In terra d’Otranto la sua coltivazione si diffuse su vasta scala tra il 1700 e il 1800 anche se è attestato già dal 1300. Si realizzava la coltura intensiva in quei particolari terreni, inadatti ad altro, quali pantani, paludi, suoli con risorgive, ideali per questa coltura dalle abbondanti esigenze idriche. Inoltre questa pianta si adatta anche a terreni salmastri, così difficilmente utilizzabili. Ad inizio ‘900 le varietà di cotone coltivate erano sia a fibra bianca che grezza. Se nel ‘700, epoca di maggiore coltivazione di questa specie ( poi ridimensionata per la concorrenza americana ed asiatica) si impiantarono fabbriche con tanti telai a mano d’opera femminile, ancora fino a tempi recenti questo artigianato è sopravvissuto nelle case ad opera delle donne. La raccolta avveniva a fine estate, in più riprese, a maturazione delle capsule che schiudendosi liberavano la bambagia. La “cammace” veniva separata dai semi con lu scannulatore (o scanneddhu) e poi filata con il fuso e il filo raccolto sulla “macinnula” e poi avvolto sulle “canneddhe” ed infine tessuto al telaio. Operazioni complesse che richiedevano molte abilità e molte conoscenze. Nel giro di pochi anni di queste conoscenze, tramandate per secoli da generazioni di donne, si perderà la memoria e sarà una grande perdita per tutti.
Un’intelligente inversione di tendenza, con serie politiche di sostegno all’artigianato e alla cultura materiale, mi sembra improbabile.
Spero di sbagliarmi.