Dolmen e menhir ? Pietrefitte sono.
Questa terra carsica, petrosa e calda, con modesti rilievi agevolmente percorribili a piedi, ospita, da molti millenni, le specie umane.
Prima il Neandethal, contemporaneamente e successivamente, il sedicente Sapiens Sapiens. In quelle foreste di querce (ricche di selvaggina) e nella macchia mediterranea ( ricca di semi, bacche e frutti), tra due mari pescosi, con rocce coperte di gustosi frutti di mare si muovevano facilmente quei gruppi umani. Si muovevano e vivevano, come noi. Non sono certo mutate, in una manciata di millenni, le ansie, le gioie, le paure. Cercavano, e cerchiamo ancora,di combattere con la nostra specifica arma ( a doppio taglio) di specie: il cervello , che elabora e cerca di ragionare su se stesso, gli altri, il mondo e le forze minacciose che incombono sui nostri destini precari e mortali.
Testimonianze di tutto questo in Salento ci sono a svariati livelli: su base naturalistica ( con elaborazione per quei siti così particolari di miti e leggende) e, su ben solida base litica : grotte (abitate e talora dipinte) ( vedi, se vuoi,l’ articolo .E qui si balla: la grotta dei cervi di Porto Badisco), specchie, dolmen, menhir, cromlech (pietre a cerchio), menanthol (pietre forate) e altre più minute testimonianze.
La parte naturalistica (o prevalentemente naturalistica) prende spunto a Giuggianello da grossi massi calcarei disseminati in un mare di ulivi ben curati. Queste forme inusuali dovute alla lunga e diseguale erosione dei blocchi hanno per millenni sfidato l’intelligenza e la fantasia ( l’arma a doppio taglio) degli uomini che sono arrivati a creare delle spiegazioni in forma mitica che li confortassero sul perché di tali stranezze, Il perché più antico trova in Ercole il protagonista che, come ben si può vedere in situ, qui ha lasciato l’impronta indelebile del suo gigantesco piede. L’eroe, nella sua immane lotta contro i Titani scagliò questi enormi blocchi per annientarli ed uno di quelli restò in equilibrio precario ( solo apparentemente precario ): il cosiddetto “Masso oscillante di Ercole”. I Titani vennero sconfitti a pietrate, annegarono ed imputridirono nelle acque di S.Cesarea Terme, in linea d’aria a pochissimi km. Così si presero i due famosi piccioni con una sola fava : sistemato lo strano masso oscillante ed anche le puzzolenti acque sulfuree di S. Cesarea.
Con lo scorrere dei millenni anche le leggende necessitano di una riverniciatina e così il masso oscillante diventa la rondella di un fuso con cui una terribile Vecchia, moglie di Nanni Orcu, fila, mentre decide le sorti dei mortali. La vecchia strega ha, qui a fianco, anche il suo letto e se la si affronta al suo risveglio nell’alba del giorno di S.Giovanni (24 giugno) si potrebbe anche carpirle ” l’acchiatura”: un favoloso tesoro costituito da una chioccia ed i suoi sette pulcini d’oro. Però si deve superare la prova: rispondere senza incertezze a tre domande, guardandola dritta negli occhi. Se non si risponde si viene pietrificati , come stanno a testimoniare i tanti sventurati che l’hanno sfidata, trasformati nei grandi massi informi sparsi un po’ ovunque negli uliveti circostanti. La verniciatella medioevale adegua a tempi più recenti la leggenda pur lasciando alcuni fondamentali topoi della mitologia classica: le terribili domande (la Sfinge tebana ad es.), gli occhi che pietrificano (quelli della Gorgone Medusa) ed infine la chioccia ed i sette pulcini d’oro ( già di tradizione egizia ed etrusca).
Ben più solide ( in senso letterale) testimonianze degli abitatori del Salento preistorico sono i superstiti monumenti megalitici che ancora popolano il territorio. Sono collocabili in un largo lasso di tempo che va dal tardo Neolitico all’età del Bronzo con alcune strutture anche posteriori. Appartengono ad una civiltà megalitica con monumenti simili ai ben più famosi del Nord Europa. Le strutture hanno affinità con le coeve costruzioni dell’isola di Malta. Dovevano essere tantissime, una foresta di pietrefitte tra un mare di alberi. Lo fa supporre la quantità ancora esistente a distanza di millenni. All’ecatombe ha contribuito la natura con tutte le le sue più violente manifestazioni e gli uomini, ormai dimentichi e indifferenti, che hanno smontato, depredato, spaccato, asportato, scavato per cercare la mitica “acchiatura” ed incorporato in nuove costruzioni. L’editto di Teodosio (380 d.C.) e i successivi decreti teodosiani furono persecutori per tutti. uomini e pietre, dei, semidei ed usanze ancestrali. La forzata cristianizzazione cercò di radere al suolo ogni traccia del passato e quando non ci riuscì, ribattezzò con le proprie insegne ogni pietra ed ogni tempio. Ancor oggi però, quasi per uno scherzo del destino beffardo, in alcuni paesi del Basso Salento le processioni trionfali della Domenica delle Palme si concludono nei pressi di un Menhir utilizzato come Osanna. In alcuni paesi del Capo di Leuca , ricorda Pasquale Mangiulli( lo scopritore del dolmen “Li Scusi”) si svolgeva anche un altro rito: i contadini andavano a sbattere i fasci di palme e di ulivo benedetti contro qualcuna di quelle pietrefitte forse per scacciarne via i diavoli e le streghe che vi si erano annidati. Ben 65, solo dall’ ‘800 ad oggi sono i menhir allora documentati ed oggi scomparsi. Per non parlare della misera sorte di quelli ridotti alla stregua di nanetti da giardino, incorporati in recinzioni o ridotti a boriosa decorazione da incolti giardinieri.
Il dolmen “Li Scusi” nel territorio di Minervino, è il primo nel Salento ed in tutta la Puglia ad essere stato rinvenuto e catalogato. Correva l’anno 1879. Il dolmen, ben conservato, è alto un metro circa e la sua lastra di copertura misura 2 m. per 3 m. e 80 cm. con uno spessore variabile tra i 35 ed i 40 cm. La lastra è sorretta da otto piedritti di cui uno solo monolitico. Al centro della lastra è un foro, posto verticalmente sopra il centro della cella sottostante dove, nel giorno del solstizio d’estate, una ventina di minuti dopo mezzogiorno, il Sole penetra proiettando un cerchio di luce sul lastrone posto dietro la cella ed esattamente al centro dell’ingresso del dolmen.
A breve distanza , con lo stesso orientamento verso SE, un grande cerchio di pietre è di grande suggestione.
Non meno suggestivo è Giurdignano, un borgo fatto di menhir, letteralmente, perché, oltre ai 18 ancora individuabili, molti sono diventati architravi ed elementi architettonici, altri. ancora integri o in pezzi sono conservati nei giardini, corti, palazzi privati. L’orientamento delle facce più ampie , illuminate dal Sole dall’alba al tramonto, è sempre E/W. Sono ancora oggi un inno al Sole. parallelepipedi immobili, eretti verso il cielo, in muta adorazione della fonte della luce, del calore, della vita.
Il menhir S.Vincenzo , posto in centro paese è uno dei più alti. Misura fuori terra m.3,50 e poggia su un banco roccioso.
Questa immersione nelle pietre arcaiche del Salento è frutto di un’escursione proposta dagli amici della biblioteca di Tuglie. Un sodalizio che promuove la cultura in senso lato, considerando tale ogni manifestazione atta ad aprire orizzonti e socialità. La biblioteca di Tuglie è senz’altro una risorsa per il Basso Salento ( come ho già avuto modo di dire nell’articolo sulla Caremma), un luogo di incontro, di documentazione e scambio culturale.
Per approfondire potete scrivere alla biblioteca.