Ballota pseudodictamus : una lampa di ingegnosità
Nelle mie curiosità etnobotaniche una bella sorpresa è stata la scoperta della ingegnosa illuminazione all’antica con i “lumini” (nome dialettale della ballota pseudodictamus) rivelatami come sempre da Marisa.
Dopo ampie ricerche la mia “mescia” botanica è arrivata trionfante con la pianta in questione che era riuscita a procurarsi.
Appartiene alla famiglia delle Lamiaceae come tante altre piante molto interessanti da un punto di vista antropobotanico: il thymus capitatus di cui ho già scritto, la flomix fructicosa di cui accennerò dopo, l’origano, il basilico, la salvia, la santoreggia e via dicendo. Ballota dal greco ballo (nel senso di spargo, spruzzo, lancio) per l’odore fetido di cantina ammuffita tipico del genere che non può essere applicato alla nostra gentile pianticella che ha un lieve profumo di pulito. Potrebbe dirsi ballota suavolens per renderle giustizia se il nome non fosse già presente nelle collezioni della Linnean society per altra varietà. Lascio perdere la contestazione del pseudo-dictamus perché è evidente che non somiglia a quella pianta del genere delle rutacee.
Veramente ingegnosa è stata colei ( o colui) che ha saputo vedere con occhi attenti e cervello sveglio la possibilità di utilizzo di una parte recondita della ballota pseudodictamus: i calici che ospitano i fiori. In tempi in cui nella notte il buio era fondo e le possibilità limitate, con poche piccole cose, tutte reperibili anche nelle case più povere, si poteva far brillare la magia della luce.
Con nulla si può costruire una “lampa” o ” luminu” che dir si voglia, per dare luce alle notti più scure e conforto alle immagini dei propri morti.
Si prende un bicchiere o comunque un contenitore, lo si riempe fino a un dito dal bordo con olio di oliva ( anche usato e poi filtrato) ed acqua in rapporto 1 a 3. Si poggia a galleggiare su di esso un pezzetto di canna forata nel mezzo ed infine il calice di Ballota privato dell’eventuale seme e ben disteso perché possa svolgere la sua funzione di stoppino e canale di aspirazione. Marisa, con grande attenzione è riuscita a riprodurre questo ingegnoso meccanismo ed il nostro lumino ha fatto luce per tre notti e tre interi giorni!
Una più recente versione prevede un piccolo treppiede a sostegno del calice, a sua volta sostenuto nel liquido da piccoli galleggianti di sughero. Ne stiamo ancora cercando un esemplare che fotograferò appena lo troveremo.
Queste luci, fino a tempi recenti, erano poste davanti alle foto dei propri morti in un angolo della casa a loro dedicato.
Dicembre 2014: Trovata dalla mia amica Manuela, in casa di un’anziana signora, una lampa in funzione tradizionale, nella versione “moderna”, con treppiede e sugheri. Come promesso, inserisco la foto:
Alla famiglia delle Lamiaceae appartiene anche la phlomix fructicosa che in Salento cresce spontanea e abbondante e con i suoi bei fiori gialli illumina la primavera. Anche di questa pianta, detta in dialetto Salvia resta, se ne faceva un uso: dalle infiorescenze si ricavava un decotto che, filtrato, veniva usato come antitosse.