Settembre, il fico
Non tutti considerano il fico una bella pianta. A me piace moltissimo ed amo perfino il profumo aspro, mielato ed inconfondibile delle sue ruvide foglie nella canicola di agosto.
Il ficus carica è una pianta da compagnia: segna le stagioni e lo scorrere del tempo. Sa essere promessa di primavera quando spuntano le prime tenerissime foglie, di un verde translucido che sprigiona luce. Sa essere primizia d’estate quando da metà giugno produce i primi frutti dell’anno: i fioroni, grossi e dal sapore leggero, portati sul legno vecchio: sono rimasti duri e verdi per tutto l’inverno e maturano al primo sole caldo. Sa essere delizia di miele e di profumo sul finire dell’estate, quando maturano i forniti o fichi veri, formatisi sui rami dell’anno in corso: piccoli, ma dolcissimi e saporiti perché hanno patito la siccità dell’estate e si sono crogiolati sotto il sole battente. Sa, il fico, in autunno, perdere le foglie e mantenere sui suoi rami spogli la promessa di una nuova annata con i piccoli fichi verdi già formati.Sa in inverno essere una splendida scultura con i suoi rami grigi volti verso il cielo. Sa adattarsi a tutte le condizioni ( purché soleggiate) e divenire un grande albero ( alto fino a 10 metri) o un piccolo arbusto a seconda della varietà e del terreno dove gli è capitato di nascere. Può essere anche una miniatura se uno dei suoi piccoli semi è riuscito a diventare pianta in una umida fenditura di muro.
Ha sfamato e sfama l’umanità da molti millenni. Fichi essiccati sono stati trovati in un sito archeologico, nei pressi del fiume Giordano, abitato 11400 anni fa.
La sua culla pare essere stata l’Asia Minore e quella occidentale dove fiorirono le antiche civiltà. Si ritiene che la sua diffusione nel Mediterraneo sia partita dall’Egitto. Nella Grecia classica erano sacri a Dioniso e gli ateniesi ne proibirono l’esportazione tanto erano fondamentali per l’alimentazione e “sicofanti” (scopritori di fico) si chiamarono i delatori che davano notizia dei trasgressori. Platone era detto “mangiatore di fichi” e raccomandava di consumarne perché aiutano a rinforzare l’intelligenza. La pianta era sacra anche ai Romani perché pare che la famosa lupa abbia allattato proprio sotto il ficus ruminalis, nei pressi del Tevere, Romolo e Remo. Plinio sosteneva che mangiare fichi rendesse più forti i giovani, più sani i vecchi ed addirittura appianasse le rughe!
I fichi, in effetti, sono particolarmente ricchi di zuccheri, proteine, lipidi e oligominerali: calcio, potassio, sodio, fosforo, ferro e zinco; vitamine A e C ,PP ,B2 ,B6 e B1. Un tasso elevato di vitamina C è però presente solo nel fico fresco che associato alle vitamine A e B ne fa un ottimo rimedio contro l’affaticamento. Le proprietà medicinali del fico sono molte: i cosiddetti semi (degli acheni che ne sono in realtà il vero frutto) sono lassativi; il decotto di fichi secchi è lenitivo ed emolliente. Il lattice bianco che si sprigiona alla rottura dei rami, delle foglie e dei fichi acerbi è acre e irritante: contiene degli enzimi digestivi e un fermento che coagula il latte e distrugge, per contatto, verruche e calli. Viene coltivato intorno al Mediterraneo da tempi remotissimi e le specie esistenti in Italia, nel Rinascimento, erano più di cinquecento. Il “Brogiotto nero” ad esempio, era sicuramente già coltivato dai Romani ed è uno dei fichi maggiormente ritratti nel Rinascimento perché, così violaceo e panciuto, è veramente bellissimo.
È un frutto meraviglioso ed energetico. Essiccato al sole e conservato diventa una poderosa riserva di calorie: 100 grammi di fichi freschi maturi hanno circa 47 calorie, essiccati 247!
Questo frutto antico però mal si adatta alla modernità: non è serbevole, si ammacca e nel giro di poche ore perde la sua freschezza, il suo profumo e le sue caratteristiche organolettiche. Chi non ha colto dalla pianta, in una calda giornata d’estate, questo frutto dolcissimo non può pensare di conoscerne il sapore. E non può sapere quanto sia verde e fresca la sua ombra e intenso il profumo delle sue foglie lobate. Ancor oggi, nel Mediterraneo, si crede fortunata la casa accanto alla quale un fico ha deciso spontaneamente di nascere. Purtroppo molte antiche varietà, coltivate fin dai tempi più remoti, sono andate perdute per i cambiamenti di stili di vita e per l’abbandono della campagne, ma qui, in Salento, ci sono ancora fichi ovunque e spesso, lungo strade e sentieri, in estate, vedi turisti felici che allungando una mano fanno l’esperienza paradisiaca di cogliere il frutto proibito ed assaporare la polpa dolcissima. I salentini li guardano con indulgenza: i fichi non sono più, dagli anni ’60, un alimento fondamentale nella loro dieta. Un tempo, raccolti ed essiccati venivano conservati in grandi capase (orci di terracotta) ed erano il frutto più dolce delle sere d’inverno.
I frutti si distinguono in bianchi e neri anche se in realtà i primi hanno la buccia gialla o verdina e i secondi vanno dal rosso striato al marrone, al viola quasi nero. La forma può essere sferica, ovoidale, conica, piriforme,appiattita, a fuso, a trottola e la polpa più liquida o più pastosa, di grana fine o grossa, rossa, ambrata, rosata, gialla.
Non pochi sono gli amici che ci offrono fichi squisiti. Abbiamo colto, in queste mattine limpidissime di settembre dottati dorati dalla polpa ambrata, paccia verdine dalla polpa rossa, culummi neri dalla polpa rosata, marangiana e carpignani dalla buccia rossa e striata. Le mie amiche li aprono, tenendo unite le due metà per il picciolo e li mettono a seccare sui tetti a terrazza. Poi li farciscono di mandorle e li passano al forno per conservarli per l’inverno, profumati con alloro, finocchio e buccia di limone. Io li amo molto canditi in agrodolce, secondo una antica ricetta ligure tramandatami da Mariuccia che vi trascrivo così come lei me la dettò:
Prendete 1 Kg. di fichi appena colti, sani, interi e piccoli, 3 hg. di zucchero, un bicchiere di aceto e un bicchiere e mezzo di vino. Cuocere a fuoco vivace e rimestare ogni tanto il tutto in un tegame largo e scoperto per un’ora abbondante. Una volta cotti metterli in barattoli ben puliti ancora caldi e ricoperti dal loro succo. Chiudere ermeticamente e riporre.
In inverno sono una delizia vera, provare per credere!