Terzo fuoco per piastrelle, piatti e quello che vuoi
E parliamo di terzo fuoco.
Sebbene Martinotti, sacro testo per ceramisti, affronti così altezzosamente l’argomento: “…permette di decorare oggetti forniti già bell’e smaltati dalle fabbriche di ceramiche e specialmente di porcellane. Dopo la pittura su di essi non rimaneva che il disturbo della cottura, presso forni a basso fuoco. Non è il caso di chiamar ceramisti coloro che si dedicano a tal genere di lavori, ma piuttosto decoratori (e molto più spesso decoratrici)…”
E allora? Tralascio il malevolo commento sulle “decoratrici”.
Puntualizzo però che decorazione non è una parolaccia: dipende da mano e cervello, sensibilità e senso del colore. Si possono fare cose belle ed anche molto brutte.
(Anche filosofia e cultura non sono parolacce ma questo è un ben più pesante discorso che esula dalla svagata leggerezza di questo blog!)
Molti anni fa, quando avevo il laboratorio, venne da me una conoscente a cuocere alcuni pezzi e non si ripresentò a ritirarli. Incontrandola alla spiaggia l’anno seguente le dissi che le sue ceramiche erano cotte. Mi rispose: “Ah, fanne quello che vuoi. Ho abbandonato la ceramica e mi sono data al pianoforte. Almeno, quando ho finito, non resta traccia!” E come aveva ragione!
Ho incontrato, invece, ed ancora incontro tante “decoratrici” di ottima mano e di buona sensibilità. La tecnica che uso solitamente per la realizzazione dei miei lavori non è quella tradizionale (essenza grassa, colori, essenza di lavanda, essenza di trementina), ma adopero eugenolo e colori sia per l’impasto che per la diluizione. Mi insegnò questa tecnica la signora Ada, negli anni ’80, una vivace ottuagenaria che aveva passato la vita in Argentina e, tornata a casa, si dilettava a dipingere con il dito mignolo splendide rose di sapore ottocentesco proprio con questo impasto, molto più pittorico di quello tradizionale. Ho adottato la sua miscela per quasi tutti i miei lavori a terzo fuoco.
Dunque, su qualunque oggetto in ceramica o porcellana, già cotto a primo fuoco e poi invetriato a secondo fuoco si può dipingere, con gli appositi colori per terzo fuoco. E questo “basso” fuoco, con cui si fisserà definitivamente il lavoro, non è poi così basso, come vuol minimizzare il nostro Marty. Si aggira in genere sui 750° (tra 650° e 920°), in grado di ammorbidire la cristallina o maiolica sottostante e far penetrare il colore applicato, fondendolo con il substrato e rendendo il tutto senz’altro più duraturo della vita di chi lo ha dipinto!
Da quando sono in Salento ho cambiato soggetti, abbandonate erbe e fiori di campo, dipingo il mare e i suoi abitanti. Da casa ne sento il profumo: è tanto salato e così blu e cobalto e azzurro e oro liquido al tramonto che ne subisco il fascino. I vasi minoici con polpi e ricci, le tombe etrusche con scene di pesca, i vasi di Gnathia mi stimolano a reinterpretare, certo con mano ben più misera, un mondo reale e mitico al contempo con mio grande divertimento. Le piastrelle del mio patio sono solo piastrelle bianche comprate già smaltate, è vero, ma sopra vi ho dipinto i miei sogni e un piccolo cortile dai muri incombenti è diventato il mio personale paradiso. Questo è il terzo fuoco: un po’ di colori, qualche pennello, un tavolo in buona luce, un bell’oggetto o solo qualche piastrella. Si può così mettere in scena il proprio mondo con buona pace di Marty, a cui confermo comunque tutta la mia inalterata devozione.