Gennaio, il narciso.
In queste giornate di sole e di vento, giunge a volte, improvviso ed inatteso, il profumo dei narcisi. Occhieggiano tra l’erba, dal chiuso dei giardini, agli angoli dei sentieri, nei punti più riparati della costa. Sono i primi messaggeri, gli avamposti, delle fioriture primaverili che verranno. Il narciso in questione è il narcissus tazetta, il più precoce e più rustico tra i suoi congeneri. Velenoso e profumato, affascina e stordisce. Il bulbo non dovrebbe mai essere maneggiato a mani nude. Contiene una sostanza, la narcissina, che può essere un veleno mortale anche in dosi minime: agisce particolarmente sul sistema nervoso. Il suo stesso profumo provoca una specie di torpore e stordimento ( il suo nome e la parola narcotico hanno la stessa radice greca).
Il mito antico lo associa a Narciso, uno splendido ragazzo di cui si innamorò perdutamente la ninfa Eco. Egli la respinse ed Eco, con l’aiuto di Afrodite, si vendicò:
lo fece innamorare della sua propria immagine riflessa nell’acqua.
Il povero giovane morì di consunzione in riva al fiume in cui si contemplava e solo allora Venere, impietosita, lo trasformò nel fiore che porta il suo nome.
I salentini, molto più prosaici, chiamano questo piccolo fiore profumato, messaggero di primavera, “ciceri e tria” cioè pasta e ceci (nella versione locale) dove il giallo della corona è il cece e il bianco dei petali la pasta. Se offrirete un bel piatto di questa specialità salentina ad un amico sarete certi di conservarlo riconoscente, ma se gli offriste un mazzo di narcisi ed egli conoscesse il linguaggio dei fiori di ottocentesca memoria potreste perderlo. Il narciso, infatti, è emblema di fatuità ed egoismo, narcisismo appunto!