Fischietti : terra che suona
Tra le tante emozioni che può regalare un pugno di creta ve ne è una che è esaltante: modellata una piccola pallina cava, quando è ancora malleabile, insufflare il fiato attraverso una piccola apertura e sentire che quella cosa prende vita, che ti palpita sotto le dita.
Fare fischietti è entusiasmante, una sfida, sempre sospesa tra il successo e il fallimento, in cui bisogna indovinare la forma della camera, l’apertura e le dimensioni della bocca, lo spessore e l’inclinazione dell’ancia, la distanza e la posizione dei fori.
Se sei riuscita ad azzeccare il tutto ne esce una vibrazione che ti pare una magia: ogni fischietto ha la sua voce: a volte acuta o acutissima o grave o profonda.
A volte nitida e pulita e allora sei felice: un attimo di pura felicità!
Se così non è, incominci i tentativi e le manovre. Per chi, come me, non ha le dovute nozioni per capire in che direzione si debba procedere è un momento di tensione: un momento in cui le mani e il cervello lavorano all’unisono e giocano a perfezionare il decimo di millimetro che pare essere il colpevole dell’insuccesso.
L’esperienza insegna che se il fischietto non suona in questa fase, ancora crudo , non lo farà neanche dopo il gran fuoco.
Si lascia poi asciugare “la creatura” fino a durezza cuoio.
Ci si può allora sbizzarrire con la decorazione. Solitamente è la forma che ha assunto il fischietto quando si è creata la camera interna che suggerisce che cosa fare: forma affusolata: un topino, panciuta: un delfino, con una parte anteriore molto prominente: un gallo e via così.
Li dipingo solitamente subito dopo, quando sono quasi asciutti ma non troppo, con engobbi, perché un fuoco basta e non voglio che una cristallinatura fuori luogo possa rovinare la magia del suono.
Per gli umani è un vizio antico giocare con l’argilla. L’arte della ceramica è stata scoperta più volte nel corso della nostra storia in luoghi diversi , in tempi diversi, con terre diverse.
La prima attestazione giunta fino a noi, che io sappia, proviene dalla Moravia. A Dolni Vestonice migliaia di frammenti e due fornaci risalenti a 26000 anni fa attestano una vera industria fittile. Una piccola figura femminile : una Venere (ante litteram) steatopigia è stata ritrovata nella cenere, spezzata in due parti. Forse proprio questo incidente ( avvenuto in cottura?) ha lasciato dormire per tanti millenni in quel letto di cenere la piccola scultura.
Dunque, molto prima della scrittura, molto prima dei miti tramandatici , l’argilla plasmata dalle mani dell’uomo sapeva incarnare i pensieri. L’arte fittile, dal latino fictile(m), da fingere, che significa appunto far finta che una cosa sia ed in un senso ormai desueto ma fondamentale significava modellare, plasmare, formare come indica la sua radice indoeuropea.
E poi , con lo scorrere dei millenni, i miti che sono sorti e ci sono stati tramandati tennero conto di quanto gli umani ormai sapevano fare: plasmare l’argilla dopo averla depurata, pressarla addirittura in forme, cuocerla e trasformarla con acqua aria e fuoco in modo definitivo e irrevocabile.
Di questo sapere possono allora fare sfoggio gli Dei. Nel mondo classico il titano Prometeo plasma con l’argilla l’uomo e Zeus gli insuffla la vita. In Mesopotamia Enki porta l’argilla adatta e gli Dei sputano nell’impasto che viene pressato in forme per dar vita agli uomini. Nella Genesi il Signore Iddio plasmò l’uomo (HA’-ADAM in ebraico) con la terra (ADAMAH in ebraico) del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita. Numerosi altri sono i racconti, in ogni parte del pianeta , che narrano storie di dei, uomini e argilla.
Evitando di inoltrarmi in altre considerazioni osservo come gli uomini con lo scorrere dei millenni passino dalla splendida rappresentazione di grandi branchi di bisonti , equidi ed animali di ogni sorta a cui dovevano la sopravvivenza e quindi la vita (Grotta Chauvet: 36000 anni fa; Lascaux 18000 anni fa) a degli dei antropomorfi cui è legato il divino piacere di “fingere” la creazione: cioè plasmare, modellare la duttile argilla che attraverso il caldo alito del fuoco si trasforma in una nuova “creatura”… ceramisticamente parlando, s’intende!